Pierri-Merini, l’amore sconosciuto

copertina-pierri-meriniCinque anni durò l’«amore sconosciuto» tra la poetessa Alda Merini e il poeta tarantino Michele Pierri. Così il giornalista Silvano Trevisani definisce il legame affettivo tra i due, raccontandolo con testimonianze e preziosi documenti in un libro pubblicato da Edita (Michele Pierri e Alda Merini, cronaca di un amore sconosciuto, 16 euro).

Un amore complesso, interrotto dalla morte del medico nel 1989, tra due persone rimaste sole; nato al telefono, nutritosi soprattutto di poesia. L’unione si tramutò, infatti, nelle nozze «della poesia con la poesia» come ricorda il critico letterario Plinio Perilli nell’introduzione all’opera di Trevisani. Nozze «solari e abbacinanti» che pure hanno vissuto momenti difficili, «fughe romanzesche» comprese. Nozze celebrate il 6 ottobre 1984 nella chiesa del Santissimo Crocifisso di Taranto. Lui 85 anni, lei 53. Matrimonio religioso: «Per quattro anni a Taranto fui una sposa felice» confesserà Alda Merini a Luisella Veroli nell’autobiografia “Reato di vita”.

Nozze il cui frutto oggi rappresenta una ricchezza straordinaria, meglio dire un giacimento culturale ancora inesplorato, per la città di Taranto. Da sfruttare in termini di memoria e identità (quella vera e non posticcia oggi in voga). 

Il passaggio di Alda Merini, poetessa fra le più grandi del ‘900 europeo, nella terra lambita dal «golfo azzurro», viene messo a fuoco da Trevisani la cui opera ha questo merito assoluto. Non sono solo gli immortali versi che ricordano Leonida: «Non vedrò mai Taranto bella», figli del «vuoto d’amore» seguito alla morte di Pierri. Sono anche «gli anni fecondi a Taranto», come sottolinea lo scrittore, titolando così un capitolo del libro, a costituire preziosa testimonianza della coincidenza tra l’amore della poetessa per Pierri e per la città. 

Un amore di cui Taranto dovrebbe portare alto il nome, non dimenticandolo, non facendolo scivolare dalle mani come accaduto finora, in nome del solito oblio qualunquista, di destra e di sinistra, che liquidava e continua a liquidare Merini, ad esser buoni, come un personaggio bizzarro. 

Perché Merini scrisse tra le più belle poesie proprio nel periodo tarantino. Perché il ricordo delle tenerezze fra i due risiede nelle parole del figlio di Pierri, Lucio, riportate da Trevisani e scritte in occasione della pubblicazione di un «Omaggio a Michele Pierri» inserito nel numero speciale del «Cenacolo», rivista storica tarantina: «I due poeti si incontrano nel corridoio, si scambiano le ultime carte, tornano a scrivere, confezionano dei libricini casalinghi cuciti con lo spago da distribuire agli amici». Cos’altro era questo se non uno scambio amoroso, prima che letterario, nel quale era coinvolta anche Taranto?

Il libro di Trevisani offre una testimonianza inedita del «connubio»: la foto di una pagina composta a quattro mani da Michele Pierri e Alda Merini. Citando altri versi, scritti insieme nella villetta crispianese di Mario Pierri, figlio del medico, Trevisani riporta parole sublimi: «Non hai bisogno di luce, l’innocenza/ama la notte, tra le sue lenzuola» scrive Merini. Il poeta risponde con lirica purezza: «Tu doni a me anonimo un nome nella poesia degli eventi di casa che scavalcano il tempo senza temere l’intera eternità».

Già in passato Trevisani, incontrando Mario Pierri, aveva  pubblicato sul “Corriere del Giorno” la testimonianza del figlio del medico che fu vicino anche ad Alda Merini. Riportandola nel libro, lo scrittore rende saliente il passaggio su Taranto: «La Merini viene attratta dal clima mite delle nostre zone – ricordava Mario Pierri – si innamora della città e della sua gente, ne scopre il carattere affabile e accogliente». Soprattutto: «riprende a scrivere dopo le dolorose umiliazioni  della vita, risorge irrefrenabile la vena poetica a lungo compressa». E ancora, riferendosi ad Alda Merini: «Canta l’amore per Michele, per il Sud, per la città dei “Due Mari”, sentita come una seconda patria». Ecco il punto.

Nel rapporto tra Pierri e Merini è condensata l’autobiografia poetica di Taranto, città di partenze più che di arrivi; di separazioni, di lontananze e lontananza, di esili e di esilio «più amara della morte», per tornare a Leonida e a uno dei suoi versi più belli dedicati alla terra che gli diede i natali. «Sei venuto tu, amore mio, in una insenatura di fiume, hai fermato il mio corso e non vedrò mai Taranto azzurra, e il mare Ionio suonerà le mie esequie» scrive Merini e sembra risponda alla remota eco insulare dell’antico poeta patrio.

Un’altra testimonianza impreziosisce il lavoro di Silvano Trevisani. Si tratta del contributo offerto alla ricostruzione degli anni tarantini di Alda Merini dall’artista Giulio De Mitri. 

Due amici, Merini e De Mitri, capaci di discutere per ore di letteratura. Anche lui sarà uno dei protagonisti del ritorno prepotente di Alda alla magia delle rime. Lei gli dedicherà «Dieci poesie» avvertendolo che  l’amore per i versi è «un capestro sul collo».

Persino a proposito delle condizioni psichiche di Alda Merini, il libro sull’«amore sconosciuto» tra lei e Michele Pierri offre documenti importanti, chiarendo alcuni equivoci. Non è mai esistito un manicomio a Taranto e Alda Merini fu ricoverata all’ospedale Santissima Annunziata, nel reparto neurologia. Pochi giorni per ristabilirsi anche se Trevisani cita, per completezza, una nota autobiografica di Alda Merini, contenuta nel libro “Il sigillo della poesia” (Manni Editore), in cui la poetessa parla di un’esperienza di ricovero «traumatizzante» proprio nel capoluogo ionico.

Il lavoro di Silvano Trevisani non tralascia il ricordo di altre personalità di spicco della letteratura italiana, come Giacinto Spagnoletti, che incrociarono il cammino di Alda Merini e Michele Pierri e soprattutto offre, come detto, una documentazione sulla quale fare i conti per ricostruire il rapporto tra la poetessa e la città all’epoca dotata di un circuito culturale significativo con nomi importanti (per citarne solo uno: Pasquale Pinto, il poeta-operaio). C’è una poesia dedicata a Pierri «Ora m’aspetta», contenuta nel volume «Rime petrose», in cui Alda, rivolgendosi a Michele, scrive: «Voglio che tu conosca questo affetto». È arrivato davvero il momento che Taranto, grazie anche al libro di Trevisani e a un lavoro di testimonianza e di memoria da coltivare e continuare, conosca l’affetto che Alda merini le portò e di cui dovrebbe sentirsi per sempre ricca, di una ricchezza che la storia, la memoria, la cultura impongono di custodire e tramandare con orgogliosa sapienza e laica consapevolezza.

Pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 29/3/2016

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