Sei storie di call center racchiuse nello spazio di una “scialuppa”, in balìa del mare agitato dalla crisi. Imbarcati cinque donne, un uomo e un lavoro scambiato per gioco e poi diventato necessità assoluta di sopravvivenza; insieme stressante routine e consapevolezza di dover sognare un futuro diverso, se non per sé per i propri figli. In mezzo la lotta sindacale incessante, alla conquista di diritti sempre da difendere e una dignità da mantenere, aggrappandosi all’albero maestro della propria esistenza di fronte alle logiche ferree del profitto, allo specchiarsi nella città dell’industria dei veleni, alle sue scorie mortali, alla sua apatia, all’assenza di domande su un destino comune. L’immigrata, la madre di famiglia, la giovane precaria, il ragazzo che aspira al canto lirico, la laureata trasferitasi dalla grande città con, nel cuore, la sua terra di glicini e burroni, la coppia divisa tra call center e acciaieria. Verrebbe da dire, ricordando Ionesco, che nessuna “politica” li consolerà. Sono uno spaccato esistenziale formidabile perché semplice. Sbattuti al vento del bisogno si è sempre, a tutte le latitudini, profughi di qualcosa. Perciò da quella “zattera” si leva il grido che fu di Vittorio Arrigoni contro la guerra, l’altra medaglia dello sfruttamento: “Restiamo umani”.
La zattera
