Negli occhi di Gianni Minà

“Il servizio di Taranto è il più bello”. Gianni Minà, quella sera di luglio del 1995, aveva negli occhi le case parcheggio del quartiere Tamburi e lo sguardo spaurito del giovane cronista, catapultato con il suo reportage televisivo sul palco del premio “Ilaria Alpi” a Riccione. Era come un sogno. E come un sogno, artisticamente caotico, Minà ha sciolto le briglie al talento giornalistico in oltre mezzo secolo di storie e persone. Noi vogliamo ricordare non tanto le interviste con Muhammad Alì o Maradona, Fidel Castro o Frei Betto, Mennea, Carmelo Bene, Sergio Leone, Bob De Niro, Pino Daniele o Volontè. Non tanto le conversazioni con poeti come Gregory Corso o scrittori come Garcia Marquez. Preferiamo, invece, ritornare con la memoria a quella notte di maggio del 1976 quando Minà raggiunse il Friuli – dopo un avventuroso viaggio notturno – per raccontare, tra i primi, il terremoto. Lui annoverava l’impresa fra le più care, cronaca asciutta di una ferita profonda. Gli era rimasta negli occhi. E la penna, la voce, lo sguardo della telecamera avevano ubbidito a un lucido sentimento. La sua morte chiude il ciclo del giornalismo epico nelle parole e nelle immagini. La sua assenza sarà ferita che non smetterà di sanguinare.

Gianni Minà (1938-2023)